La sua adolescenza trascorsa nella periferia più difficile di Milano, a fianco degli amici sbagliati; la giovinezza in cui non si è negato nulla.
Mi sembrava di vederlo mentre me lo raccontava: bello, i capelli lunghi, la camicia slacciata sul petto abbronzato, a passeggiare sul viale più mondano di Rimini.

E poi?
Bruciati in pochi mesi i soldi dell’eredità di papà, è passato dall’albergo di lusso alla strada.
È rimasto senza niente, nemmeno una casa, quasi senza accorgersene, con la bottiglia come unica compagna di vita.

Per anni nulla è cambiato, fino a quell’incontro, il primo, a cui ne sono seguiti tanti altri.
Una sera, tra una fetta di torta e un bicchiere di tè caldo, tira fuori da una tasca un foglio con un disegno bellissimo. Ci dice che l’arte è la sua passione da quando è piccolo, l’unica cosa che riesce a fargli dimenticare tutto il resto – e proprio l’arte sarà da quel momento il nostro trait d’union.

Gli diciamo che il martedì pomeriggio c’è il laboratorio di pittura e disegno. È interessato, ma bisogna prenderlo per mano e condurlo. Una rete di persone si attiva per tenerlo agganciato a questo tratto di matita.

Vedere il suo sguardo cambiare davanti ad un foglio, vedere il suo impegno crescente nel realizzare qualcosa che martedì dopo martedì prende sempre più forza, ci fa ben sperare.

Mattia è quasi pronto ad accorgersi che esiste una vita diversa da quella dei 30 anni trascorsi in strada con solo il sapore di vino in bocca.

Il 3 aprile entra in una casa di accoglienza a Milano, dove ci sono delle regole da rispettare.
Passato un mese di permanenza lo chiamiamo al telefono, ci dice che è molto dura.
Tempo dopo ci incontriamo, ci dice: “Sono cinque mesi che non tocco la bottiglia. Ci vuole tutta la mia forza di volontà, ma quando io dico NO, è NO. E lo dico tutte le mattine, guardandomi allo specchio”.

Mattia sta finalmente disegnando il suo viso, e la sua nuova vita, con un tratto di matita.